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Il capitale umano ( Un film su un’Italia immaginaria, ma nemmeno troppo)

di Matteo Rezza

Quando ci han parlato tutti de “Il capitale umano“, il film di Paolo Virzì che all’ultimo è stato escluso dalla corsa agli Oscar, abbiamo avuto la classica reazione di rigetto un po’ snobistica tipica di chi cerca evitare i film pompati da media, pubblico e critica ( e poi puntualmente li guarda). Questo non perchè ci riteniamo dei grandi critici di cinema (di tecnica cinematografica non ne sappiamo una mazza), piuttosto perchè non vogliamo correre il rischio di crearci un’aspettativa che poi venga puntualmente disattesa. Ecco, grazie alla messa in onda da parte di Sky, nel caso de “Il capitale umano” ammettiamo volentieri l’errore: perchè l’opera di Virzì è interessante, quasi intrigante.

Cominciamo col dire, per i pochi che ancora non lo sapessero, che il soggetto è tratto dal libro omonimo di uno scrittore americano, Stephen Amidon, pubblicato nel 2004. Vi avvertiamo immediatamente che non l’abbiamo ancora letto (ma lo faremo), dal poco che sappiamo è un thriller ambientato nel Connecticut, la struttura del romanzo è simile a quella del film di Virzì (grazie Ibs), seppur il regista toscano rivisiti il tutto in una chiave volutamente grottesca, pur mantenendo sempre il tema thrilling dell’opera di Amidon. Il film inizia con lo speronamento di un ciclista da parte di un Suv lungo una statale brianzola nei pressi di Ornate (paese immaginario); incidente come ne capitano a centinaia, con il conducente che non si ferma a prestare soccorso al malcapitato ciclista. Esaurito il preludio, il film si concentra sulle vite di due famiglie, gli Ossola e i Bernaschi, che si ritroveranno legate dagli sviluppi di questo incidente apparentemente slegato dalle loro vicende. Virzì organizza la struttura del film offrendoci quattro punti di vista della storia, ovvero quello di Dino Ossola (immobiliarista fin troppo rampante con aspirazione di ascesa sociale e economica), Carla Bernaschi (ex attrice per passione sposata al ricco finanziere Giovanni Bernaschi), Serena Ossola (la figlia di Dino, ex fidanzata di Massimiliano, insopportabile figlio dei Bernaschi), e infine il punto di vista dell’osservatore esterno, che seguirà la vicenda fino all’amara conclusione. Dino Ossola (un irriconoscibile Fabrizio Bentivoglio) è un immobiliarista da strapazzo, che grazie alla relazione della figlia Serena con il rampollo della famiglia Bernaschi entra in contatto con il capofamiglia Giovanni (Fabrizio Gifuni, davvero centrato nella parte del ricco brianzolo che ragiona sempre e solo in termini economici). Dino vuole uscire dalla propria condizione di mediocrità, e convince Giovanni a farlo entrare, mediante il versamento di 700.000€, in un affare speculativo che sta conducendo Bernaschi. Solo che quei soldi Ossola non li ha, per cui si ritrova a dover chiedere un prestito bancario dando come garanzia la casa di proprietà. Purtroppo per lui, l’arrampicata sociale subirà una brusca frenata, che lo porterà a dover mettere da parte una rispettabilità che in realtà è solo di facciata in favore di una grettezza tipica degli arrampicatori sociali. Carla Bernaschi (un’ottima Valeria Bruni Tedeschi, pure lei centratissima nella parte dell’attricetta disillusa imprigionata in un matrimonio che puzza molto di convenienza), è la moglie di Giovanni, un’annoiata alto borghese che cerca di dare un senso alla propria vita tentando di riportare ai fasti di una volta il teatro cittadino, in condizioni di abbandono totale. Se inizialmente la sua intenzione verrà appoggiata finanziariamente dal marito Giovanni, in seguito dovrà fare i conti con i rovesci finanziari di quest’ultimo, che le impedirà di proseguire nel progetto in modo da poter vendere il teatro abbandonato per realizzare degli appartamenti; sgomenta, disillusa, Carla cerca un’improbabile vendetta tessendo una tresca con Donato Russomanno (Luigi Lo Cascio, che se non fa ruoli che trasudino impegno civile e cultura da sinistra chic non è contento), il direttore artistico del teatro. Serena Ossola (una notevole Matilde Gioli) è la figlia di Dino, e quanto di più distante ci possa essere dal padre. Sognatrice ma allo stesso tempo pratica, ha avuto una relazione con Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli), l’emblema del tipico figlio di papà brianzolo a cui tutto è dovuto. I due rimangono amici (più per volere di Massimiliano che di Serena, a dire il vero), ma la ragazza durante una visita alla matrigna psicologa (un’ottima Valeria Golino, che a sto giro è pure riuscita a recitare coi decibel giusti) conosce un mezzo sbandato con velleità di artista, Lorenzo. Finalmente innamorata, non può immaginare come il destino cinico e baro stritolerà i due ragazzi nella propria implacabile tenaglia.

L’ultimo punto di vista (il capitale umano, per l’appunto) ci mostra come tutti gli eventi apparentemente slegati che si sono prodotti nelle vite di questi personaggi arriveranno a legarsi, incidendo parecchio sulle esistenze di ognuno, e sulle ambizioni (ma soprattutto frustrazioni) tradite da principalmente da loro stessi e dalla propria inadeguatezza. Nessuno è totalmente innocente, tutti abbiamo dei segreti che rischiano di affondarci nell’angoscia spingendoci a svelare la parte più sgradevole di noi, stracciando quella rispettabilità di facciata che tanto si anela ma che puntualmente viene disattesa nella ricerca di una felicità impossibile, ma solo per colpa nostra. Riguardo a questo, Virzì è davvero bravo a raffigurare personaggi al limite del grottesco (alcuni critici han parlato di macchiette, ma non siamo d’accordo), caricature paradossali ma non troppo di figure sociali ben radicate nella società italica. Chi non ha mai conosciuto il fighetto brianzolo figlio di papà, tutto scuole e università private, con la sua insopportabile cadenza, il suo spendere e spandere per farsi notare e sentirsi ammirato, solitamente studente di economia senza capirne niente, il cui massimo approdo sarà entrare nell’azienda di famiglia? O di quanti finanzieri rampanti abbiamo letto sui giornali in questi anni, personaggi che si ritengono geni della finanza, deus ex machina di speculazioni mai troppo chiare, alla ricerca continua di plauso sociale tramite la gestione di fondazioni di supposta beneficenza, in realtà un modo come un altro per pagare meno tasse? Per non parlare dei presunti professionisti che elevano la propria cialtroneria a strumento di sopravvivenza, nella loro arrampicata sociale che non guarda in faccia niente e nessuno? Non siamo d’accordo nell’accusa a Virzì di aver reso i suoi personaggi delle macchiette, anzi provocatoriamente riteniamo che il suo sia un grottesco grondante di puro realismo; purtroppo per noi siamo circondati continuamente da personaggi che sembrano essere usciti dalla commedia dell’arte all’italiana e che si prendono pure molto sul serio. Sarà…

Sul fronte degli attori, come già detto, abbiamo trovato assolutamente credibile Gifuni nella sua resa del finanziere spregiudicato, simbolo di un’economia che non produce nulla di reale ma che si basa su algoritmi di previsione e speculazioni sulle disgrazie altrui; ottima Bruni Tedeschi che riesce a trasmettere l’inadeguatezza di chi non si sente al proprio posto ma non riesce (o non vuole) rinunciare alla propria vita di assuefatta agiatezza, e notevole anche l’interpretazione di Bentivoglio col suo immobiliarista cialtrone connotato dalla parlata alla Guidone Nicheli- Zampetti (“Milano via della Spiga- Hotel Cristallo di Cortina 2 ore 54 minuti 27 secondi, Alboreto is nothing” assoluta storia del cinema). Menzione d’onore per la bellissima e brava Matilde Gioli, la quale riesce nell’impresa di non rendere il suo personaggio di Serena la solita adolescente cagacazzo da film Disney ma piuttosto una ragazza che cerca di non farsi sopraffare dalle situazioni che la vita le pone davanti, nel bene e nel male. La regia di Virzì riesce a mantenere il ritmo della narrazione sempre alto e non ci si annoia, fa rendere al meglio i propri attori e ci regala lo spaccato di un paese che tanto vuole, ma alla fine non può mai. Un ottimo film davvero, che fonde il thriller con la commedia grottesca senza però mai cadere nel banale e nel già visto. Consigliato!

P.S. Abbiamo adorato la scena della discussione tra i membri del consiglio d’amministrazione del teatro, in particolare la figura della critica cagacazzo ma senza proposte concrete e il personaggio del consigliere protoleghistaterra-terra, al contrario di voi“:  il quale, tra un congiuntivo sbagliato e un’ Iphone sempre acceso, accusa gli altri partecipanti di snobismo non funzionale ai reali gusti della gggente, proponendo per la serata inaugurale invece del solito Pirandello o peggio del tremendo teatro sperimentale, un coro di voci padane della valle. “Valido, davvero valido”. Non abbiamo dubbi.